Sciopero Generale

I PADRONI, L’ALTA FINANZA, I POLITICANTI HANNO PROVOCATO LA CRISI E ORA VOGLIONO FARCELA PAGARE: CON LE PRIVATIZZAZIONI, CON I TAGLI AI SERVIZI DI TUTELA E SOSTEGNO DELLA SALUTE E DELL’AMBIENTE E METTENDO LE MANI NELLE NOSTRE TASCHE.
LE CHIAMANO “LIBERALIZZAZIONI” MA È SOLO SFRUTTAMENTO, PRECARIATO, DISOCCUPAZIONE, DISSERVIZI, IMPOVERIMENTO COLLETTIVO.

DOPO I DISASTRI DEL GOVERNO BERLUSCONI, ORA CI TOCCA IL GOVERNO “TECNICO” DEL BANCHIERE MONTI: LA MACELLERIA SOCIALE CONTINUERÀ CON LA BENEDIZIONE DELL’UNIONE EUROPEA, FRA COMPLICITÀ PARLAMENTARI E OPPORTUNISMO ELETTORALE.

LA CRISI CHE VIVIAMO NON È UN INCIDENTE DI PERCORSO: SI IDENTIFICA, PIUTTOSTO, COL PUNTO DI NON RITORNO DI UN SISTEMA CHE CI SOFFOCA OGNI GIORNO DI PIÙ.
VIVIAMO, DEL RESTO, IN UN MONDO DOVE POCHISSIMI INDIVIDUI NON CONOSCONO PRIVAZIONI PERCHÉ DETENGONO QUASI TUTTA LA RICCHEZZA, MENTRE LA MAGGIORANZA DEGLI ESSERI UMANI È COSTRETTA A SOPRAVVIVERE DI STENTI.

È ARRIVATO IL MOMENTO DI RILANCIARE CONCRETAMENTE LE LOTTE PER AFFRONTARE LA CRISI COLPENDOLA AL CUORE, CON SCIOPERI, MOBILITAZIONI, BOICOTTAGGI, OCCUPAZIONI DELLE FABBRICHE. L’OBIETTIVO NON PUÒ ESSERE ALTRO CHE L’ABBATTIMENTO DI QUESTO SISTEMA, ATTRAVERSO NUOVE FORME DI PRODUZIONE E CONSUMO, DI AUTOGESTIONE, DI ORGANIZZAZIONE E LIBERAZIONE DEL LAVORO.

Collettivo Studentesco Antiautoritario
Gruppo Anarchico “Andrea Salsedo” – Trapani
Federazione dei Comunisti Anarchici – Sez. “Delo Truda”
Gruppo “Giustizia e Libertà” della Federazione Anarchica Siciliana

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Primavere Arabe

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La libertà non si tocca!

Ieri pomeriggio, a piazza Verdi, quasi al finire dell’iniziativa MICROFONO APERTO – DEMOCRAZIA di STRADA la digos ha distrutto uno striscione contro il TAV su cui era scritto “MARONI BOIA”, strappandolo mentre alcuni partecipanti al presidio lo stavano mostrando. La piazza ha reagito in modo deciso e si sono susseguiti momenti di tensione fra le due parti, fino a quando gli agenti decidono di allontanarsi, accompagnati dai cori dei manifestanti. Quanto abbiamo visto è una grave dimostrazione di intolleranza verso le libertà di pensiero e di espressione; libertà che noi, come anarchici, saremo sempre pronti a difendere!

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NÉ SCHIAVI NÉ DISOCCUPATI

Quanto sta accadendo oggi ai lavoratori e alle lavoratrici della Fiat è la naturale prosecuzione di un lungo e sistematico progetto di cancellazione dei diritti di tutti i lavoratori.
Nel 1990 la Legge 146 cominciò a limitare pericolosamente il diritto di sciopero; poi venne
l’abolizione della scala mobile nel 1992; successivamente, l’accordo del 23 luglio ‘93 sancì
l’inizio della concertazione (la logica perversa secondo cui le rivendicazioni dei lavoratori
devono essere compatibili con gli obiettivi di produttività e di politica economica aziendale); poi fu la volta del referendum abrogativo dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori del ‘95 con cui fu assestato un primo duro colpo ai diritti sindacali. Infine, la Legge 30 del 2003 (anche se potremmo citare molti altri accordi schiavisti e liberticidi), proseguendo l’opera nefasta del “pacchetto-Treu”, ha imposto il cancro della precarietà come soluzione ai problemi di
occupazione del paese.
Purtroppo, la risposta ai pesanti attacchi ai diritti dei lavoratori non è mai stata unitaria e,
soprattutto da parte di alcuni settori sindacali, non è mai stata all’altezza della situazione.
Oggi, con la scusa della crisi, viene spianata la strada a Marchionne il quale – con la complicità del padronato italiano, dei sindacati compiacenti e della classe politica – si fa esecutore materiale di un altro violentissimo colpo alla libertà dei lavoratori.
Quanto accaduto negli stabilimenti di Pomigliano e Mirafiori è la prova generale di un più ampio disegno criminale teso a mettere in discussione il concetto di lavoro così come lo conosciamo per sostituirlo a pieno titolo con rapporti di schiavitù. Il dissenso non è contemplato né tanto meno tollerato: si smantella il già traballante sistema di rappresentanza sindacale, si criminalizza il lavoratore, lo si ricatta, gli si scaricano addosso responsabilità che non gli appartengono. Non è colpa degli attuali ritmi di produzione,infatti, se le fabbriche chiudono e i padroni delocalizzano, ma è colpa del sistema che – inadatto a garantire una qualità di vita dignitosa per tutti – ha bisogno di inasprire costantemente forme e metodologie di sfruttamento per mantenere se stesso.
I lavoratori che hanno votato SÌ all’accordo lo hanno fatto perché ricattati: senza chiedergli
alcunché in merito al contenuto del nuovo contratto, con la minaccia di chiudere la fabbrica in caso di vittoria dei NO, sono stati indotti a credere che non ci fosse nessun’altra via d’uscita per non piombare nell’incubo della cassa integrazione prima, e in quello della disoccupazione poi.
Invece, una via d’uscita c’è. Da Mirafiori, a Pomigliano, a Termini Imerese, bisogna farla finita con le burocrazie sindacali rilanciando l’unità dal basso dei lavoratori e l’autorganizzazione come metodi qualificanti per riconquistare i diritti negati, attraverso una rinnovata capacità politica degli sfruttati su vasta scala all’insegna della solidarietà attiva e dell’azione diretta.
La prospettiva non può limitarsi alla conservazione dell’esistente: il capitalismo uccide, e lo
dimostra ogni giorno di più. Gli operai, tutti i lavoratori, i precari, i disoccupati – siano essi
italiani o immigrati – possono mettere alla porta i padroni e i politicanti cominciando a fare da sé, occupando i luoghi di lavoro, autogestendo la produzione, riprendendo in mano il loro destino.
Contro questo gioco al massacro chiamato capitalismo, bisogna rilanciare l’azione diretta e
l’autogestione, qui e ora, per spezzare le catene e costruire un futuro degno di essere vissuto a chi verrà dopo di noi.

Collettivo Studentesco Antiautoritario

Anarchici Trapanesi

Coordinamento Anarchico Palermitano

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“IL FUTURO È NELLE STRADE”

Le mobilitazioni che hanno coinvolto il mondo della scuola, dell’università, del lavoro e del precariato in questi mesi, sono sintomatiche dello stato di profondo disagio sociale in cui versa il paese.

Il movimento studentesco si è distinto per pratiche di lotta incredibilmente eterogenee, sganciate – nella maggior parte dei casi – da qualsivoglia logica parlamentare ed istituzionale.

In tutto il paese è riuscita a venir fuori la rabbia di tutti quei soggetti che sono stati travolti in maniera totale dagli effetti della crisi sistemica di un arrancante capitalismo. Oggi, a farne le spese sono tutti coloro i quali non vengono riconosciuti come funzionali alla riproduzione di questo meccanismo perverso che, nel frattempo, ha trovato una nuova veste per continuare a perpetrare il suo dominio su scala globale.

La crisi sta seminando i suoi effetti nefasti, e quello che rimane del corpo sociale, funzionalmente atomizzato ed infiacchito, sta giustamente cercando di reagire con mezzi e pratiche più radicali.

Questo discorso sembra valere anche per il capoluogo siciliano.

Il movimento studentesco palermitano ha covato al suo interno, sin dai suoi prodromi, una serie di contraddizioni che hanno contribuito a smorzarne lo slancio propulsivo all’interno del tessuto sociale cittadino.

Da una parte, le reali istanze di cui il movimento studentesco si sarebbe dovuto fare portatore sono state svilite da pratiche miranti alla spettacolarizzazione mediatica, laddove lo scontro perde ogni suo significato intrinseco e diviene pantomima del conflitto, spesso a causa di dinamiche endogene come, ad esempio, il tentativo forzoso di emulare realtà ben più coese, mature e radicate.

Dall’altra, una logica entrista, vagamente gauchiste, caratterizzata da una serie di pratiche e di concezioni fortemente contraddittorie che, riconfermando il meccanismo della delega politica e offrendosi come potenziale serbatoio di voti, hanno favorito tutti quei soggetti istituzionali che con lucida freddezza e bieco cinismo sono riusciti a catalizzare all’interno dei loro tristi schemi parte di quelle forze che potevano contribuire ad una reale critica dell’esistente.

A causa della precocità di certe azioni rispetto ad un movimento che non ha ancora acquisito una piena coscienza di sé e del suo potenziale rivoluzionario – e non solo catartico – non sono mancate dissociazioni e accuse gravi e infamanti, in particolare su quanto avvenuto in piazza la mattina del 22 dicembre.

Un movimento reale, maturo ed unitario, che parta dal basso, non può e non deve creare manichee e semplicistiche divisioni tra buoni e cattivi.

NOI RESPINGIAMO CON FERMEZZA QUALSIASI TENTATIVO CHE MIRI A REPRIMERE E A CRIMINALIZZARE IL MOVIMENTO PER PREVENIRE E SPEZZARE TUTTE LE FORME DI DISSENSO E DI OPPOSIZIONE SOCIALE.

Emblematiche, in tal senso, le dichiarazioni del ministro dell’interno Maroni che – riferendosi alla questura di Palermo – ha parlato, tra l’altro, di un attacco mirato “contro uno degli avamposti della lotta alla criminalità organizzata”.

Rispetto a questa dichiarazione in particolare ci preme sottolineare come l’antimafia istituzionale abbia scordato di menzionare il fatto che, in un passato non troppo distante, la “mafia militare” sia stata strutturale e funzionale alle istituzioni di questo paese e di come, negli ultimi anni, proprio le istituzioni si siano servite strumentalmente dell’antimafia per rifarsi una verginità agli occhi dell‘opinione pubblica. Anche a spese delle vite di alcuni servitori dello Stato. E’ così che, adesso, con la “CULTURA DELL‘ANTIMAFIA ISTITUZIONALE” si cerca di legittimare l’idea che lo Stato può essere ancora un reale motore di cambiamento. Nel frattempo la mafia ringrazia!

Rispetto al coro unanime che si è levato dai palazzi del potere contro ogni pratica di piazza anche conflittuale, certo di trovare visibilità ed amplificazione tra tutti quei soggetti istituzionali operanti nelle file del movimento, noi rispondiamo:

«Perché due vivano in pace bisogna che tutti e due vogliano la pace; chè se uno dei due si ostina a volere con la forza obbligare l’altro a lavorare per lui ed a servirlo, l’altro se vuol conservare dignità di uomo e non essere ridotto alla più abbietta schiavitù, malgrado tutto il suo amore per la pace ed il buon accordo, sarà ben obbligato a resistere alla forza con mezzi adeguati […]; Gli anarchici non hanno ipocrisia. La forza bisogna respingerla con la forza: oggi contro le oppressioni di oggi; domani contro le oppressioni che potrebbero tentare di sostituirsi a quelle di oggi.»( E. Malatesta, Anarchia e violenza, Pensiero e Volontà, 1924)

Noi dunque ribadiamo che già esistono forme di violenza diffuse e sottili, reali ma sottaciute: la violenza delle istituzioni con cui le moltitudini fanno i conti ogni giorno quando si trovano di fronte ai privilegi e all’arroganza di chi gode di potere e impunità, la violenza che si materializza nelle carceri (istituzione che miete ogni anno decine e decine di vittime), la violenza che si esercita nei Centri di Identificazione ed Espulsione (C.I.E.), la violenza delle forze dell’ordine e quella degli eserciti che combattono le guerre, la violenza dei padroni che si traduce in migliaia di morti sui posti di lavoro ogni anno e l’elenco, purtroppo, potrebbe continuare a lungo.

Noi del Collettivo Studentesco Antiautoritario lotteremo affinché si possa formare un movimento studentesco reale, e non virtuale, che possa essere realmente e radicalmente incisivo, all’interno del contesto cittadino e non. La lotta infine deve, necessariamente, generalizzarsi ed estendersi a tutte quelle sacche di malcontento manifeste nella società: dai lavoratori precari agli immigrati, dai pensionati agli studenti.

Alla crisi sistemica del capitalismo globalizzato bisogna rispondere con un reale progetto rivoluzionario di sovversione sociale, abbandonando le mere logiche di rivendicazione, autorganizzandosi dal basso senza deleghe, senza capi e senza padrini, riappropriandoci degli spazi che ci circondano, creando un modello educativo dove non vi sia distinzione tra l’ insegnamento artigianale-professionale e quello scientifico-umanistico, per un’educazione libertaria slegata dalle logiche del Potere, ribellandosi e lottando fino alla completa distruzione di qualsiasi tipo di sfruttamento e gerarchia, per la certezza di un futuro fatto di “pane, sapere e libertà”.

COLLETTIVO STUDENTESCO ANTIAUTORITARIO

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IL FUTURO NON È SCRITTO

Le mobilitazioni che hanno coinvolto il mondo della scuola e dell’università sono un potenziale trampolino di lancio per una lotta generalizzata. Migliaia di studenti si sono ripresi le piazze e le facoltà e hanno cominciato a ragionare sul problema che attanaglia principalmente le nostre esistenze: i nefasti effetti della crisi del capitale globale.

Di fronte a questa crisi sistemica, la mera lotta per il ritiro del ddl Gelmini non può bastare. Si deve andare oltre, bisogna mettere in discussione il sistema di sfruttamento ed oppressione che sta alla base di questa società malata.

La lotta per un sapere libero deve necessariamente sganciarsi dalle illusorie rivendicazioni legate ad una logica prettamente statalista. L’università la fanno gli studenti e se non si pensa ad un reale progetto di rivoluzione sociale, non possiamo vincere una guerra che può e deve diventare generalizzata, ossia, estesa a tutti quei soggetti oppressi facenti parte delle perverse dinamiche della repressione sociale.

Questo perchè la crisi economica colpisce soprattutto e con particolare veemenza tutti coloro che da un siffatto sistema sono ritenuti “sacrificabili”: dagli studenti ai lavoratori precari, dai pensionati agli immigrati. Di fatto la vastissima classe degli oppressi non ha più alcuna garanzia affinchè possa godere di una vita quantomeno dignitosa.

Per questo ora più che mai diviene urgente la necessità di creare un forte movimento unitario, costruito dal basso ed autorganizzato, capace di distaccarsi dalle scadenze imposte dal potere.

I grandi momenti di piazza, purtroppo, si sono concentrati sulle date delle discussioni parlamentari (dall’approvazione alla camera del ddl Gelmini al voto di fiducia al governo) focalizzandosi su azioni sì simboliche e dal forte impatto mediatico ma prive di quello slancio propositivo che dovrebbe rappresentare l’elemento di forza e rottura rispetto all’orrore della quotidianità a cui siamo costretti. Un movimento realmente incisivo non dovrebbe avere bisogno di scadenze imposte dall’alto, non dovrebbe seguire l’agenda di chi occupa i tetri palazzi del Potere. Un movimento reale dovrebbe assolutamente creare le proprie giornate di mobilitazione in un’ottica destabilizzante rispetto a qualsivoglia agenda istituzionale: questo perchè noi non lottiamo soltanto per il ritiro di una riforma, ma per sovvertire l’esistente.

COLLETTIVO STUDENTESCO ANTIAUTORITARIO

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INSORGERE PER RISORGERE

Il dominio che si attua attraverso la gestione omologante della scuola, fa sì che si possano “formare” individui che sin dalla più tenera età vengano abituati a soccombere, ad obbedire e a prostrarsi. L’attuale distruzione della scuola pubblica ne è un esempio lampante. La scuola diventa sempre più una galera, mantenendo un aspetto sempre più gerarchico e autoritario. Provvedimenti come il 5 in condotta, la diminuzione del numero degli insegnanti, l’impoverimento dei programmi e la distruzione di servizi basilari come il tempo pieno e gli insegnanti di sostegno, non fanno altro che peggiorare le condizioni di una scuola sempre più selettiva e classista. Una scuola che rispecchia appieno anche il carattere sempre più razzista e xenofobo dello stato (i vari tentativi di creare classi differenziali e il tetto massimo del 30% di studenti immigrati per classe).

Il becero discorso sulla meritocrazia non fa altro che fomentare l’odio tra il corpo studentesco, la rivalità spietata, la cinica concorrenza per poche briciole di pane.

In tutto questo l’unica disciplina che non perde la sua cattedra ma anzi la mantiene salda, è la religione cattolica. Per il potere, infatti, è di fondamentale importanza mantenere l’insegnamento religioso, da sempre fucina di dogmi, paure, ignoranza e oscurantismo. Mentre si rafforzano i dogmatismi, l’insegnamento scientifico viene bandito, gli spazi per la ricerca azzerati e viene annullata ogni forma di crescita, di senso critico e di progresso collettivo.

È la scuola degli automi, è la scuola della tecnoburocrazia, è la scuola del dominio e della sopraffazione.

Il movimento studentesco sta cominciando ad avere una forza propulsiva. Centinaia di scuole e facoltà sono in stato di agitazione. Decine di migliaia di studenti invadono le piazze, paralizzando la monotonia alienante delle città. Oggi più che mai bisogna rilanciare le lotte per la libertà. La crisi sta investendo pesantemente tutti (dagli studenti ai lavoratori, ai precari, ai disoccupati). La protesta si deve generalizzare, non concentrandosi solamente al mero piano rivendicativo, ma slanciandosi verso una progettualità rivoluzionaria. Il sistema autoritario e gerarchico non è mai riformabile, ma deve essere distrutto.

Il modello educativo che vogliamo, è un modello in cui l’insegnamento sia gestito dal basso, slegato dalle logiche capitaliste e stataliste. Un modello fondato sull’uguaglianza, la solidarietà e il mutuo appoggio. Vogliamo l’istruzione integrale, dove non ci siano differenze di valore tra l’insegnamento artigianale-professionale e l’insegnamento scientifico; dove si possano formare donne e uomini completi, liberi e indipendenti. Un’ istruzione dove la coscienza critica e la libera discussione siano tra i principi fondamentali.

COLLETTIVO STUDENTESCO ANTIAUTORITARIO

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Calabresi assassino, Pinelli assassinato

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TI RICORDI CHI E’…STATO?

La memoria dei fatti di piazza Fontana dovrebbe essere un patrimonio collettivo ben piantato nelle teste e nei cuori di tutti gli italiani. Eppure, soprattutto tra i più giovani, la conoscenza delle circostanze legate all’orribile strage del 12 dicembre 1969 non è assolutamente scontata.

Dietro a questa inconsapevolezza non ci sono soltanto i depistaggi e le tante menzogne che per anni hanno garantito l’impunità dei massacratori e dei loro complici, ma ci sono anche i vecchi e nuovi revisionismi della storia, le speculazioni di chi vuole confondere l’opinione pubblica per seminare ignoranza e sopprimere lo spirito critico.

Quella di piazza Fontana fu una strage di stato. L’estrema destra fascista e i servizi segreti italiani collaborarono fattivamente per massacrare 17 persone e ferirne 88. Si trattò del primo grande attentato terroristico (già preceduto da altre provocazioni simili) che inaugurò la strategia della tensione. In un momento di grande effervescenza della società italiana (si pensi alle proteste studentesche, alle lotte dei lavoratori, al profondo cambiamento culturale del paese), la risposta dello stato doveva essere durissima e spietata: creare un evento traumatico, terrorizzare l’opinione pubblica, trovare un capro espiatorio, criminalizzare l’opposizione sociale, soffocare la libertà attraverso una svolta autoritaria.

Per questa strage furono subito incolpati gli anarchici. Giuseppe Pinelli, un compagno anarchico che di lavoro faceva il ferroviere, fu interrogato per tre giorni di seguito. La sera del 15 dicembre veniva scaraventato dalla finestra dell’ufficio del commissario Luigi Calabresi, al quarto piano della questura di Milano. Pinelli era innocente, e gli anarchici con quella bomba non avevano proprio niente a che fare.

La campagna di controinformazione promossa dagli anarchici, dalla sinistra extraparlamentare e da autorevoli figure della cultura e del giornalismo del nostro paese riuscì a stabilire quasi subito la realtà dei fatti: la bomba l’avevano messa i fascisti per conto dello stato. Ancora oggi, dopo quarantuno anni, non si è mai arrivati a questa verità giudiziaria anche se – tra le righe di numerose sentenze – sono più volte emerse le responsabilità e le complicità degli apparati dello stato e della manovalanza fascista.

La violenza delle istituzioni è una cosa con cui tutti i cittadini fanno i conti ogni giorno quando si trovano di fronte ai privilegi e all’arroganza di chi gode di potere e impunità. E poi ci sono gli abusi e gli omicidi nelle carceri, le violenze nei centri di trattenimento per immigrati, le schifezze dei politici, i soprusi delle forze dell’ordine, le guerre che combattono gli eserciti.

Dopo quarantuno anni, il copione è sempre lo stesso: quando le istituzioni sono in crisi, la tentazione autoritaria si fa sempre più concreta: oggi la strategia della tensione è nella militarizzazione delle strade, nelle campagne di odio contro i poveri e gli immigrati, nella repressione del dissenso e delle lotte, nel bavaglio all’informazione, nell’attacco alla libertà.

Ecco perché ricordare è importante: per non smettere mai di lottare per una società più libera e più giusta che sappia fare a meno del potere e della sua violenza.

Collettivo Studentesco Antiautoritario

Coordinamento Anarchico Palermitano



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17 NOVEMBRE: GIORNATA DI LOTTA INTERNAZIONALE

La scuola e l’università italiane stanno cadendo a pezzi. Il processo di distruzione è ormai avviato da tempo: dalla riforma Ruberti, alla Berlinguer, fino alla Moratti e alla Gelmini. Tutti i governi che si sono succeduti (di centro-destra e di centro-sinistra) hanno smantellato quella che un tempo si chiamava istruzione pubblica.

La riforma Gelmini è l’ultimo tassello di un piano molto più complesso,  che ha le sue fondamenta nella eliminazione di ogni possibilità di accesso a un’istruzione di qualità per tutti. I tagli indiscriminati alle borse di studio (riduzione del 89,55%); il finanziamento alle scuole private (250 milioni destinati alle scuole cattoliche); lo smantellamento delle università pubbliche, che, rimanendo senza fondi, sono costrette a ridurre drasticamente l’offerta formativa e, nei casi più tragici, addirittura a chiudere i battenti, dimostrano chiaramente il grado di attacco che lo stato e il capitale hanno sferrato contro l’istruzione.

Mentre noi manifestiamo qui a Palermo, in altre migliaia di città sta avvenendo la stessa identica cosa. Le lotte degli studenti e dei lavoratori si sono radicalizzate un po’ ovunque (dalla Francia, alla Grecia fino ai recenti fatti di Londra). Qui in Italia un reale movimento studentesco stenta a ripartire e le proteste che esprimono un minimo di radicalità in più, vengono puntualmente represse coi manganelli. La repressione è l’arma preferita dello stato e oggi assistiamo ad un progressivo acuirsi della violenza poliziesca. Lo stato affronta le emergenze sociali come una questione di ordine pubblico. Qualsiasi crisi sociale (dalla disoccupazione, alla precarietà, alla negazione di ogni libertà) viene repressa ferocemente.  E le ultimissime vicende di Brescia e Milano ne sono la testimonianza più eclatante.

Oggi non abbiamo più nulla da perdere. Studenti, ricercatori, docenti, lavoratori tecnico-amministrativi sono di fronte ad una scelta obbligata: o rilanciamo la lotta per un’istruzione veramente equa, libera e condivisa oppure subiremo supinamente l’ignoranza, la precarietà e la miseria. La storia ci insegna che ogni movimento, per essere realmente incisivo, deve svilupparsi dal basso, senza deleghe, senza capi e senza alcuna forma di egemonia. Il 17 Novembre, tra le tante cose, ricorda il tragico eccidio del Politecnico di Atene dove (nel 1973) migliaia di studenti si erano asserragliati, rivoltandosi contro il sanguinario regime dei colonnelli. Quegli studenti gridavano “Pane, Educazione e Libertà!”. La rivolta ateniese venne stroncata nel sangue: i carri armati di Papadopoulos sfondarono i cancelli uccidendo decine di studenti e ferendone centinaia. Oggi come allora vogliamo rilanciare le lotte per la libertà. Contro l’ignoranza e la mediocrità dell’esistente CONTINUIAMO A GRIDARE PANE, EDUCAZIONE E LIBERTÀ!

COLLETTIVO STUDENTESCO ANTIAUTORITARIO


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